Papà e congedi: non basta pagarli. Il caso del Piemonte.

Il coinvolgimento degli uomini nella cura attraverso il congedo parentale: il caso dei progetti “Insieme a Papà” e “Insieme a Papà…cresce” della Regione Piemonte

Di Maddalena Cannito

Con la legge n. 53/2000, anche i padri hanno avuto accesso al congedo parentale. Questo strumento prevede la possibilità per i lavoratori dipendenti di assentarsi dal lavoro per un periodo di massimo sei mesi per ciascun genitore per un totale di dieci mesi, non necessariamente da fruire continuativamente, fino al compimento del dodicesimo anno di età del bambino e con un’indennità pari al 30% della retribuzione per i primi sei mesi di congedo e nulla per i restanti. Per i papà è previsto un “bonus” di un mese, che porta da sei a sette i mesi di congedo disponibili, se decidono di utilizzare questo strumento per almeno tre mesi.

Sebbene l’uso del congedo da parte dei papà sia in costante crescita (dal 2015 al 2019 i fruitori maschi lavoratori del settore privato, ad esempio, sono passati da circa 46.000 a 66.000), è ancora residuale il numero di lavoratori uomini che fa questa scelta. Le motivazioni sono numerose e hanno a che fare con la bassa indennità, ma anche con resistenze culturali tipiche di un Paese come l’Italia che individua le donne come principali prestatrici di cura e gli uomini come principali percettori di reddito.

Per questi motivi, la Regione Piemonte ha pensato di affiancare alle previsioni di legge nazionali, il progetto “Insieme a Papà” – rinnovato successivamente nella versione “Insieme a Papà…cresce” – che l’Eurofound (2015) ha individuato come una delle buone pratiche per favorire l’uso del congedo da parte dei papà.

Questo progetto, implementato nel 2011 e poi prorogato per gli anni 2014 e il 2015, è stato finanziato con le risorse del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, messe a disposizione nell’ambito dell’“Intesa Conciliazione 2010” e dell’“Intesa Conciliazione 2012”. “Insieme a Papà” si integrava con il più ampio progetto complementare denominato “Condividiamo con i papà”, iniziato in una versione sperimentale già nel 2009 e successivamente ampliato, finalizzato all’erogazione ai futuri padri di percorsi di sensibilizzazione alla condivisione delle responsabilità di cura familiari nell’ambito dei Corsi di accompagnamento alla nascita effettuati all’interno delle Aziende Sanitarie Locali, nelle Aziende Ospedaliere e nelle Aziende Ospedaliero-Universitarie del territorio piemontese.

Il progetto “Insieme a Papà”, in entrambe le sue edizioni, prevedeva l’erogazione di un contributo economico ai lavoratori dipendenti del settore privato, che fruissero del congedo parentale al posto della madre lavoratrice dipendente nel primo anno di vita del/la bambino/a, o per i genitori adottivi o affidatari nel primo anno dall’ingresso del/la minore in famiglia. Il contributo della Regione Piemonte era pari 400 euro mensili per ogni mese solare di congedo parentale fruito, elevabile a 450 euro mensili nel caso in cui il congedo parentale fruito dal padre superasse i 3 mesi. Il requisito per partecipare era che entrambi i membri della coppia fossero lavoratori dipendenti perché lo scopo del progetto era anche favorire il rientro al lavoro delle madri che doveva essere, dunque, certificabile.

Nonostante l’incentivo economico piuttosto generoso, però, il numero dei fruitori è rimasto molto esiguo. In effetti, al 15 luglio 2015 le domande presentate dal 2011 erano 269, ma i beneficiari effettivi sono stati solo 199 perché 25 avevano fatto più volte domanda e 45 domande sono state respinte.

Il fatto che le adesioni sono state così basse indica chiaramente che, sebbene la variabile economica abbia un peso, l’indennità del congedo non può essere considerato come il maggiore ostacolo alla sua fruizione da parte dei padri e che, quindi, progetti che lavorino solo su questo frangente sono destinati ad avere scarso successo. Intanto, ci sono problemi “strutturali” che hanno a che fare con la sicurezza del posto di lavoro: come mostra la Figura 1, solo 3 uomini su 199 (l’1,5 % del campione) hanno un contratto a tempo determinato, mentre tutti gli altri hanno contratti a tempo indeterminato. Nonostante questi progetti fossero sponsorizzati dalla Regione, dunque, sembra che la garanzia di un posto di lavoro stabile sia un prerequisito necessario affinché gli uomini scelgano di utilizzare il congedo parentale.

Guardando, però, al numero di mesi fruiti, si nota che circa un terzo dei padri ha usufruito di un mese di congedo, il 20,5% di due mesi, il 17% di tre, il 13% di quattro, il 9,5% di cinque, l’8% di sei e il 3,5% di sette (Figura 2). Questi dati sono importanti perché, sebbene confermino la maggiore predisposizione dei padri a non assentarsi troppo a lungo da lavoro (generalmente non più di un mese) (De Pasquale 2012), potrebbero segnalare che un contributo economico come quello erogato dalla Regione Piemonte può essere un incentivo per alcuni di loro a prendere periodi di congedo più lunghi. Dall’altra parte, ancora una volta, segnalano anche che il fattore economico non è il solo influente e che alcuni stereotipi di genere sulla cura e sulla divisione dei ruoli familiari, che influiscono negativamente sulla durata del congedo paterno, necessitano di un lavoro culturale più profondo e capillare.

In effetti, è vero che i progetti “Insieme a Papà” e “Insieme a Papà…cresce”hanno il merito di spostare l’attenzione dalla conciliazione come problema femminile al ruolo che anche gli uomini possono/devono ricoprire nella gestione e nella cura dei figli. Tuttavia, alcuni aspetti ricalcano i limiti della normativa nazionale anziché integrarla.

Intanto, questi progetti erano rivolti ai soli padri lavoratori dipendenti del settore privato le cui partner fossero anch’esse lavoratrici dipendenti. Questa distorsione era legata al fatto che l’obiettivo primario del progetto era il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, ma con l’obiettivo finale di favorire il rientro a lavoro delle madri che può essere documentato, ovviamente, solo nel caso delle lavoratrici dipendenti. Sebbene quest’ultimo obiettivo sia più che condivisibile e, anzi, auspicabile, in questo modo si (ri)producono due effetti negativi: il primo è una discriminazione fra categorie di lavoratori e lavoratrici che già subiscono trattamenti differenziati nella normativa nazionale; il secondo è che il discorso sulla conciliazione fra vita e lavoro fa riferimento al coinvolgimento degli uomini nella cura e nell’uso del congedo, ma non come obiettivo in sé. Il fatto che lo scopo ultimo dei progetti fosse la promozione dell’impegno femminile nel mercato del lavoro si evince, infatti, anche dall’imposizione del vincolo della non contemporaneità nella fruizione del congedo da parte di madre e padre.

In secondo luogo, un altro aspetto di criticità di questi progetti sta nel loro carattere di interventi “spot”: il rischio è che progetti di questo tipo mantengano un carattere episodico e che si esauriscano nel momento in cui finiscono le risorse, soprattutto se le risorse non vengono impiegate per rimuovere gli ostacoli all’uso del congedo parentale dei padri di ordine strutturale e culturale. 

In terzo luogo, la previsione di bonus economici solo per i padri rischia di rafforzare al contempo gli stereotipi del maschio lavoratore e della donna, invece, “naturalmente” devota alla famiglia. Ovviamente non si intende negare che la variabile economica abbia un peso: alcuni studi (Reich et al. 2012; Eurofound 2015) mostrano che uno strumento efficace per promuovere l’uso dei congedi fra i padri è un alto livello della compensazione e la previsione di bonus in forma di incentivi economici o in termini di tempo quando il padre utilizza il congedo e/o quando il padre lo utilizza per un periodo di tempo prolungato. I padri, infatti, tendono ad usare di più i giorni di congedo ben retribuiti. Tuttavia, questo tipo di progetti che prevedono un “premio” in denaro per i padri fruitori del congedo manca almeno parzialmente gli obiettivi di rimozione degli ostacoli culturali che sul lungo termine potrebbero condurre gli uomini a dedicarsi alla cura anche senza incentivi di tipo finanziario. Infatti, se l’alto livello della compensazione o un bonus per entrambi i genitori potrebbe configurarsi come un modo per dare valore al lavoro di cura, un “premio” economico per i soli uomini sembra al contrario valorizzare maggiormente la cura prestata dai padri, a fronte di una cura materna data, invece, per scontata. Questa distorsione, tra l’altro, segnalata da diverse ricerche (ad esempio Naldini 2015), già si verifica nelle pratiche all’interno delle coppie e delle famiglie italiane dove i cosiddetti “padri coinvolti” sono spesso descritti dalla partner e dalle cerchie amicali e parentali come una sorta di eroi contemporanei. Il risultato finale è che l’inclusione di pratiche di cura e della paternità nella costruzione della maschilità non scalfisca i modelli tradizionali.

Nella stessa direzione si muove la locandina utilizzata per promuovere i progetti (Figura 3). Sebbene sia comprensibile l’uso di un tipo di linguaggio e immagini che pesca in una serie di riferimenti culturali condivisi (il personaggio di James Bond in questo caso), questa strategia comunicativa ancora una volta difetta sul piano della promozione del cambiamento culturale.

In primo luogo, l’immagine riproduce lo stereotipo del maschio forte e coraggioso che, da una parte, veicola l’idea di una cura paterna come “scelta eroica” a fronte di una cura materna data invece per scontata; dall’altra, sembra voler fugare l’idea che la cura dei figli, in quanto attività tipicamente “femminile”, possa in qualche modo devirilizzare il padre che vi si dedica. In secondo luogo, lo slogan “Papà a tempo pieno? Scelta ripagata” sembra rafforzare una visione per cui la cura e il tempo speso con i figli siano un sacrificio che per essere compiuto necessita di un incentivo, peraltro di tipo economico. In questo modo, si va nella direzione di una svalutazione del lavoro di cura, annullando anche il potenziale che, come già detto sopra, un bonus economico può avere, invece, in termini di dare valore all’accudimento prestato ai figli.

Per concludere, la sola previsione del bonus economico non sembra un intervento sufficiente, intanto, perché non rimuove gli ostacoli che spesso i padri incontrano sul posto di lavoro, soprattutto se in posizioni lavorative precarie. In secondo luogo, se associata a strategie comunicative non attente alla costruzione del genere e in particolare della maschilità, rischia di non scardinare gli stereotipi che sono uno degli ostacoli al coinvolgimento paterno.

In ogni caso, è apprezzabile il tentativo di questi progetti della Regione Piemonte di chiamare in causa anche la figura paterna rendendola un target specifico di intervento. Certamente è un utile punto di partenza da cui varrebbe la pena iniziare a discutere, a livello nazionale ed europeo, in momenti di riflessione collettiva e di condivisione di buone pratiche sul tema del coinvolgimento dei padri nell’uso del congedo parentale.

Riferimenti

Cannito M. (2015), Quando il congedo è maschile? Vincoli e opportunità nell’uso dei congedi parentali da parte dei padri in Italia, in «Autonomie Locali e Servizi Sociali», Vol. 2, pp. 323-339.

Capitini M.V. (2013) “INSIEME A PAPÀ”. Intervento innovativo e sperimentale di contributo ai padri fruitori del congedo parentale nel primo anno di vita del loro bambino – Regione Piemonte, 2012, Italia Lavoro. Reperibile all’URL: http://bancadati.anpalservizi.it/bdds/download?fileName=BP%20Insieme%20a%20papa.pdf&uid=140dcd5a-eeec-4fa8-b71b-a3d96c286d70.

De Pasquale A., 2012, L’uso dei congedi genitoriali in Italia, in Donati P. (a cura di), “La famiglia in Italia. Sfide sociali e innovazioni nei servizi. Nuove best practices nei servizi alle famiglie”, Vol. II, Carocci, Roma, pp. 169-205.

Eurofound (2015), Promoting Uptake of Parental and Paternity Leave Among Fathers in the European Union, Publications Office of the European Union, Luxembourg.

Osservatori statistici Inps sui congedi parentali: https://www.inps.it/osservatoristatistici/13/41/o/427

Naldini M. (a cura di), 2015, La transizione alla genitorialità. Da coppie moderne a famiglie tradizionali, il Mulino, Bologna.

Reich N., Boll C. e Leppin J., 2012, «Fathers» Childcare and Parental Leave Policies − Evidence from Western European Countries and Canada, Hwwi, Amburgo.